Back to Tajikistan …ritorno nella terra dei pastori

Back to Tajikistan …ritorno nella terra dei pastori

Primavera – 2015

 

Photographed by Tagiko

 

…Dopo quasi nove ore di volo sento diminuire la spinta dei motori: è l’inizio della discesa. 

Fuori dall’oblò è notte e non ho dormito, luna piena e cielo terso rivelano le bianche montagne dell’Asia. Sono solo, seduto al mio posto, in silenzio, ritorno in Tagikistan, nel mio cuore c’è Manta.

A vederle, alle tre del mattino, quelle montagne fanno impressione. Fà impressione sorvolare posti così remoti di nevi perenni e ghiacciai, di pascoli a quote inferiori e degli amici e dei cani che vivono e lavorano là.

E’ primavera. Sono in Asia Centrale. Questa volta sono partito senza nessun compagno di viaggio.

Andrò dal mio amico e pastore Mansur Tanokov, nell’insediamento invernale di Lolatzor, da lì mi muoverò con lui tra i “pascoli delle coshare” nel qir-adirlar, la prateria-collinosa o più semplicemente “adir” alla ricerca di due cuccioli da riportare con me in Italia.

Ecco Mansur! Compare sul marciapiede con il fratello Faridhin, un abbraccio veloce  poi via, è l’alba e siamo diretti a casa Tanokov.

Al nostro arrivo, è mattino e la famiglia, piccoli compresi, sono fuori ad aspettarmi e a darmi il benvenuto… le donne sono riservate e i bambini felicissimi! Per poter capire c’è Orifion, un bravo ragazzo che parla Turkmeno, Uzbeko, Tagiko, ma soprattutto Inglese. Viene da un villaggio di montagna ed è stato all’Università, ha studiato Storia dell’Asia Centrale. Sarà lui il mio interprete in questo viaggio!

 

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Dopo una prima giornata passata in giro per la kishlak seguito da uno stuolo di bambini, a vedere il fiume che con il temporale pomeridiano si è ingrossato e ad ammirare i primi cani… si fa subito sera.

Si cena sul tappeto, “alla tagika” poi mi addormento sul pavimento della tipica abitazione d’argilla.

 

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“Francesco! Francesco!” mi sveglia Mansur, sono le sei del mattino, si parte.

Mentre prepara il suo fucile a pallettoni mi dice: “non si và in montagna senza questo”.

“Preparati  perché andremo a visitare almeno quaranta greggi con rispettivi cani, staremo fuori la notte a dormire in una coshara.”

 

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La coshara è l’ovile, dove abitano anche i “pastori aiutanti” quelli che si occupano direttamente degli animali e dove sovente anche il gregge può essere chiuso al sicuro.

Il nostro mezzo è una Lada, “da pastore” che necessita di una piccola revisione a motore e batteria prima della partenza… infatti non parte. Poi parte.

 

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E’ nuvoloso e finiti gli acquazzoni del giorno precedente, per i primi chilometri con la piccola fuoristrada facciamo i “tuffi” nelle pozze di fango sulla pista sterrata che ci porta a sud…

Presto cominceremo a costeggiare il fiume Toirsu e la montagna di Jilantau “la montagna dei serpenti” fino ad arrivare a Karatau “la montagna nera”.

In questa zona cercheremo di osservare e conoscere tutte le greggi e gli accampamenti che troveremo lungo il tragitto.

 

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Sono passati cinque anni dall’ascesa in alta montagna dell’estate 2010, questa volta potrò vedere gli ovili e le verdi colline. 

 

I pascoli invernali: nel “qir-adirlar” tra kishalack e coshare.

A primavera in molte aree del Tagikistan la maggior parte degli animali è ancora tutta a valle. Siamo a pochi chilometri dal confine con l’Afganistan.

Nell’adir, per gli uzbeki, o nel “ailok-olin-toi” in tagiko, della regione di Chatlon, costituita da montagne, praterie e migliaia di collinette di solo pascolo, ogni pastore proprietario di gregge ha a disposizione in media un centinaio di ettari che si estendono intorno alla sua coshara. Qui la vita è una lunga attesa dove si aspetta lentamente il finire dell’inverno. 

I pastori sono un po’ come i marinai: gente rozza e schietta; forgiati da una vita semplice e spesa tra gli elementi, sono seminomadi. Vivono in modo calmo cercando di non disperdere mai inutili energie.

Verso la fine della stagione fredda, appena il clima lo permetterà, i nuovi nati saranno grandi abbastanza: cani, pecore, cuccioli ed agnelli partiranno tutti per le transumanze in alta montagna.

 

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Non più di un’ora dopo la nostra partenza ci fermiamo su un promontorio ad osservare dei cuccioli. Sono tre e pare che uno di loro abbia già qualche problema con la rogna. Questa zoonosi è molto frequente in Asia Centrale, anche tra i cani da lavoro.

 

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I piccoli hanno circa tre mesi e rimangono nei dintorni della tenda, giocano con un asino, mentre più a valle si trova il gregge dove ci sono  due cani adulti al lavoro che dovrebbero essere i loro genitori… mentre dei giovani pastori stanno tosando gli ovini, i guardiani sorvegliano il trambusto dal ciglio di un dirupo.

Le pecore vengono tosate con le forbici, alla vecchia maniera, la lana servirà alle donne, giovani e anziane che compiranno un’opera antica tessendo o facendo del feltro utilizzabile in molte attrezzature come le bardature dei cavalli o alcuni capi di vestiario.

 

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Scatto le prime foto… il maschio adulto fulvo è parecchio nervoso, ha anche un occhio fuori uso ed è pieno di cicatrici. All’inizio mi vuole aggredire, poi si calma un pochino. 

Mi ricordavo che in montagna su asini e cavalli, l’incontro con questi cani era davvero spaventoso, mentre qui essere in macchina ha i suoi vantaggi…

Lo osservo facendomi scudo con la portiera della Lada, ci vorrà un po’ per riabituarsi alla vita tra i pascoli, coi cani guardiani che, a modo loro, ti danno sempre il benvenuto!

 

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Riprendiamo il percorso e finiamo in una piccola conca, in mezzo c’è una tenda, qui vedo due cuccioli e un cavallo… il pastore non c’è, uno dei due piccoli è una femminuccia grigia che mi piace molto ma ha gli occhi un pochino troppo sporgenti… da qui andiamo via velocemente.

 

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Sulla strada verso Karatau passiamo per altre kishlak.

Orifion mi dice che il nome kishlak ha origine da “kish” che vuol dire inverno e “lak” accampamento, in turcomanno antico significherebbe “insediamento invernale”.

Il grosso della popolazione rurale dell’Asia Centrale vive in questi villaggi (kishlak o aul) che contano da qualche decina a qualche centinaio di famiglie. Questi piccoli centri abitati sono costituiti da aggregati di costruzioni di fango impastato con paglia, senza alcuna vegetazione.  A volte questi comprendono gli attendamenti dei nomadi. E’ stato l’allevamento dell’agnello persiano (i Karakul) che insieme alla produzione di cotone ha trasformato, nella storia recente, alcune di queste kishlak in importanti centri urbani.

Nei dintorni delle kishlak spesso si possono vedere dei cani che aspettano il passar dell’inverno e che poi ripartiranno verso la montagna insieme al gregge, in primavera. Tuttavia le greggi più numerose svernano nelle coshare, insieme ai cani e ai pastori “aiutanti”.

 

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Coloro che possiedono il bestiame (pecore karakul, capre, cani, cavalli, ma anche cammelli e dromedari) e che sono dediti al commercio di questi, sono i Kachlik o Kaliki. Costoro possono essere semplicemente tagiki o uzbeki migrati in Tagikistan o tagiki di etnia uzbeka.

Mano a mano che ci dirigiamo verso sud, gli insediamenti incominciano a diradarsi e la strada sterrata principale si dirama in tanti diversi sentieri, che bisogna conoscere perché ai nostri occhi si profila un vasto orizzonte di dolci colline infinite: è l’adir una specie di steppa-prateria tipica di questa regione, mi dice Orifion. Lo spazio è molto vasto e per certi versi mi ricorda un pochino anche l’Australia.

 

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Di colpo Mansur infila uno dei tanti diverticoli e, in un batter d’occhio, ci troviamo con la Lada in mezzo ad un gregge. Gli animali si scansano con destrezza, ma c’è qualcos’altro: è uscito il sole e i sentieri dinanzi a noi si sono riempiti di testuggini, grandi e piccole. Sono una specie endemica dell’Asia Centrale, si chiamano  Sangpusht in tagiko “schiena di pietra” e in effetti sembrano proprio delle pietre! 

Mansur fà di tutto per evitarle, sterzando e contro sterzando come un pazzo. Ho i capelli dritti!

 

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Arriviamo in una coshara dove mentre mi affretto per vedere i cani, Mansur rincontra i suoi amici ai quali ha portato un medicinale che insieme a loro somministra ad una pecora.

Si è soliti pensare che qui in Asia non ci siano medicine o che gli animali non siano tenuti bene ma non è così, quando si può, c’è un minimo di assistenza per tutti, i pastori aiutano i loro capi di bestiame e i loro cani. A volte questi sono la loro unica risorsa.

Qualche decennio fa, quando il Tagikistan era ancora una colonia dell’URSS, c’era assistenza anche per i pastori nomadi: “se stavi male in alta montagna ti venivano a soccorrere con l’elicottero” oggi che siamo una Repubblica, mi dice Mansur, devi stare attentissimo che non ti accada nulla perchè nessuno ti aiuta.

 

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Poi si apre un varco nel gregge che abbiamo davanti e con modi fieri, spunta fuori un bellissimo cane nero che mi osserva riflessivo. E’ primavera ed ha appena iniziato la muta. Un giovane pastore mi chiede di seguirlo, mi porta vicino alla coshara indicandomi degli altri cani più pigri da fotografare. Uno di questi, piuttosto tipico prende i primi raggi di sole appisolato contro un muretto di fango.

 

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Chiedo informazioni sulle pecore. Le karakul sono famose per il lipoma caudale, la loro “coda-grassa” che dall’Iran fino in Mongolia è apprezzata moltissimo. Questo grasso, viene mangiato anche in Asia Centrale.

Così mi mettono un agnello in braccio e vorrebbero regalarmelo.

Sono onorato.

Cerco di spiegare nel modo più gentile possibile che purtroppo in aereo non me lo lascerebbero imbarcare.

 

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Rimontiamo in auto e via, verso nuove greggi e nuovi ovili. Ci addentriamo tra le colline e puntiamo  ancora dritti verso, Karatau, che con i suoi 2000 metri s.l.m. si alza davanti a noi.

I cani al pascolo in questa regione, salvo qualche eccezione, sono in genere molto più tranquilli di quelli che avevo visto cinque anni fa in alta montagna, si può scendere dalla macchina e stando calmi, dopo pochi minuti questi si accucciano, ci tengono d’occhio ma non sono ostinatamente aggressivi e ostili verso di noi…

 

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Vedo una bellissima femmina che sembra un po’ un lupo e che, dentro alla sua tana scavata nelle vicinanze ha partorito da poco dei piccolissimi cuccioli. Vorrei vederli ma decido di non andare a disturbare. La vita in questi posti è piuttosto dura. Non bisogna infastidire. Spetta solo al pastore accedere al nascondiglio, pochi giorni dopo il parto ed una volta sola, per il taglio di code e orecchie. I cuccioli usciranno poi da soli quando saranno in grado di saltellare e camminare.

La mamma che ho davanti però è davvero stupenda. Non c’entra molto con quei cani pesanti e dai tratti molossoidi descritti dal nuovo standard di razza russo. La media dei cani nativi al pascolo in Tagikistan non combacia con la “fisicità” conclamata dagli allevatori dei cani allevati in Occidente. 

 

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Gregge dopo gregge passa così la prima giornata al pascolo, vedo molti cani con i loro pastori, alcuni vecchi, altri più giovani e tanti cuccioli ancora al seguito delle loro madri.

 

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Alla sera ci fermiamo a dormire in una coshara, fa freddo e sono stanchissimo, dormo col mio sacco a pelo su terra battuta di fianco ad una vecchia stufa.

Chiudo gli occhi pensando a Manta, al posto impervio e remoto da cui proveniva. Mi chiedo cosa avrebbero pensato gli appassionati della razza in Italia se avessero potuto vedere dove era nata…

 

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Poi è subito mattino, si beve tè verde e via salutiamo chi ci ha ospitato. Sul sentiero cominciano le pietre e in macchina “si balla” …destinazione speciale: faremo visita al gregge del famosissimo Galu e all’allevatore del nostro Vulcano!

 

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Alla coshara di Galu.

Galu è un cane famoso da queste parti, come spiega Mansur in due parole: “puoi affidargli duemila pecore ed andare ad ubriacarti!”. Più semplice di così…

 

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Imam Nazar, il suo proprietario, ci invita all’interno della loro stanza per gli ospiti nella coshara e ci offre tè e carne di pecora…

Galu è fuori, vecchiotto, mi dicono che ha già sedici anni. Imam è molto amico di Mansur, gli spiego che in Europa sia lui che Galu sono famosi e quando gli chiedo se posso fargli una foto vuole prima pettinarsi la sua bella barba bianca con un vecchio pettine, dicendomi: “se la mia barba va in Italia voglio che si veda bene”.

Gli domando che cosa ama di più del suo cane Galu, e lui con orgoglio mi dice che è un amico fidato,  dopo quindici anni di lavoro insieme, il suo cane è parte della sua vita.

E’ lui l’allevatore di Vulcano.

 

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Non è così importante la bellezza fisica, Galu è uno dei tanti, bellissimi, cani tagiki, con una bella testa e un’ossatura più robusta della media, come Vulcano, non è di enorme statura. Rappresenta un bellissimo “tipo” di Chorchasma o Torkuz (questi due nomi significano “quattrocchi” rispettivamente in Tagiko e in Uzbeko) così frequente tra i cani dei pastori.

Per via dell’età è anche molto tranquillo e se gli si dicono parole dolci scodinzola da sdraiato guardando verso di noi. Poi con un pezzetto di fegato si lascia avvicinare, accarezzare e fotografare con me e il suo padrone.

Insieme al suo branco da lavoro ci sono anche due cuccioli e un altro giovane maschio di soli due anni che… sembra la copia del nostro Vulcano. E’ sempre bello vedere come nel loro luogo d’origine questi cani riescano a convivere insieme, senza grossi problemi.

 

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Galu, è uno dei guardiani di gregge più forti che ci siano nella zona,  Elena Polshyna insieme ad Igor Semenov furono i primi a fotografarlo nel 2008, in seguito pubblicato sul web, il soggetto conobbe all’estero una fama senza precedenti, per il suo corpulento morfotipo.

In realtà, pur essendo molto famoso sia in Russia che in Europa, qui in terra tagika ha condotto la stessa semplice vita di tutti i cani aborigeni dell’Asia Centrale… considerati attrezzi da lavoro e non celebrità da internet.

 

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Riprendiamo il viaggio  dopo calorosi saluti al generoso Imam Nazar.

 

Un vecchio amico…

Altri chilometri, le coshare dei pascoli invernali sembrano non finire mai, disseminate qua e là tra questi vasti prati e colline, mi racconta Mansur che in inverno ogni pastore ha a disposizione in questa zona circa 50-100 ettari nei quali far pascolare i propri animali.

Ci avviciniamo finalmente al suo gregge!

 

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Arrivati, tutti giù dalla macchina a fare un giro a piedi. C’è una simpaticissima cucciola bianconera che mi viene incontro saltellando… poco più in là, su un crinale in alto, un bellissimo maschio grigio  mi osserva. Si è messo davanti alla Lada, mi sembra una visione.

E’ lui, è Pahlavoni, il mio amico, quello che nel 2010 spesso si accucciava vicino alla mia tenda.

A quei tempi era un giovane cucciolo. Figlio di Aktosh “sasso bianco” il capobranco.

E’ l’unico sopravvissuto del “team” che era al lavoro nel 2010, ed ora ha cinque anni. Mansur dice che Pahlavoni è il padre di una cucciolata che vedo sbucare timidamente da sotto ad un grosso serbatoio per l’acqua.

 

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Mi ricordavo di lui fin da quando era ancora un giovanissimo guardiano, già impegnato in alta montagna, e ora ha anche dei figli, e che figli!

In Asia Centrale, non tutti i cani riescono a raggiungere la piena maturità, la selezione naturale in questi posti non premia solo il più adatto, o il più forte, ma come Natura vuole, anche il più scaltro e il più fortunato. Sono molti i fattori che influenzano il destino di ciascun nuovo individuo rispetto ai suoi fratelli.

Osservo la cucciolata insieme al resto del branco. Come sempre è l’intuito a guidarmi, decido in un attimo: saranno due di loro i miei futuri guardiani.

 

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I cani di Mansur Tanokov, come tutti i cani aborigeni, sono prettamente dei pastori guardiani di bestiame. Vivono in modo seminomade e compiono una lunga transumanza ogni anno, partendo nel mese di Maggio dal loro accampamento nell’adir (dove trascorrono l’inverno) per la migrazione verso le montagne. Il periodo esatto in cui partire viene deciso dagli uomini di volta in volta in base alle condizioni meteo che possono variare. Questi con cani giovani e adulti, con cavalli, asini e tende, andranno alla ricerca dei pascoli più verdi che durante la calda estate si troveranno solo in alta quota.

 

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Orifion mi racconta che lo stesso nome “Kuchi” dei pastori delle tribù afgane deriverebbe proprio da questo stile di vita: i “kuchi-mi” (mi spiega) sarebbero tutti coloro che vanno alla ricerca dei pascoli per i loro animali. Nomadi e semi nomadi.

 

Lupi e orsi due diverse minacce: l’addestramento dei cani.

E’ importante che i cuccioli crescano nel gregge assieme agli adulti del loro branco, solo così questi potranno imparare fin da piccoli tutti i comportamenti necessari. Regolati dalle diverse interazioni sociali che incominciano con l’educazione materna fino alle continue lotte di gerarchia e che servono per stabilire costantemente chi è il più forte. Tutto ciò sarà estremamente indispensabile per poter vivere e contribuire al pascolo. Lavorare significa avere il coraggio, e non solo, di affrontare lupi e orsi insieme ai propri compagni guardiani.

Sarà la vita stessa ad addestrare i cani al lavoro.

In Asia Centrale, a differenza di altri luoghi dove esistono ancora pascoli, i cani da custodia al bestiame devono imparare a cacciare e a procurarsi la maggior parte del cibo da soli. Il pastore quando riesce ne integra la dieta in diversi modi: ogni tanto con una carcassa di pecora o le sue interiora, mentre altre volte, come in alta montagna, vengono scavati dei piccoli canali verso le tane delle marmotte di modo che con gli acquazzoni estivi l’acqua possa allagare la tana e far uscire le bestiole allo scoperto. I piccoli roditori verranno così cacciati più facilmente anche dai giovani e meno esperti cuccioloni.

Questa specie di “autosostentamento indotto” è alla base della vita allo stato semibrado e del tipo di rapporto che questi cani hanno con l’uomo.

 

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Mansur dice: “Niente pascolo, niente cani da Pastore dell’Asia Centrale”.

Poi mi spiega che l’adir e le coshare sono luoghi protetti, ma è quando ci si sposta sulle montagne che c’è bisogno di cani validi.

E’ lì che i lupi e gli orsi danno del vero filo da torcere a tutti i guardiani che devono difendere le greggi.

Con l’addentrarsi nella stagione calda, il pascolo si fa via via più brullo e bisogna spostarsi continuamente, sempre più in alta quota, per poter trovare del foraggio. E’ in questo periodo che si concentrano gli attacchi dei grandi predatori. 

Quando l’erba comincerà a scarseggiare per gli ovini, anche per lupi e orsi diminuiranno le prede naturali come lepri o marmotte etc.

Sarà in queste circostanze che attaccare un gregge diventerà per i grandi carnivori, l’unica opportunità di sopravvivenza, e i cani, questo lo sanno bene.

Gli attacchi dei lupi sono diversi da quelli degli orsi.

Il lupo non è mai solo, attua una caccia sociale. Il branco si aggira intorno agli ovini custoditi dai cani ed effettua dei tentativi di aggressione per “prendere le misure”, capire qual è la reale capacità di difesa dei guardiani. Sceglierà di attaccare dove troverà cani meno esperti, distratti o meno forti, o addirittura laddove sarà più facile ingaggiare una lotta vantaggiosa a discapito di questi.

 

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Raramente si arriva ad uno scontro, la maggior parte del lavoro dei cani è quello di scoraggiare gli eventuali aggressori, e questo viene fatto attraverso le cosiddette “parate” che sono molto convincenti e che il branco sa mettere in atto insieme ad una strategia di controllo, spostamenti e marcamenti.

Per i Pastori dell’Asia Centrale far la guardia ad un gregge contro i lupi è, per la maggior parte dei casi, una “partita a scacchi”.

Fin dalla più tenera età, all’imbrunire, i cani vengono allontanati dai pastori e dalle loro tende a “suon di bastonate” perché non si adagino nella confortevole protezione offerta dall’insediamento umano.

L’orso invece arriva da solo,  a differenza del lupo, non pratica una caccia sociale ed è cosciente della sua forza, fa quello che vuole.

Mansur mi dice: “se arriva un orso adulto che ha fame ti entra anche nella tenda!” L’orso non ha certo paura dei cani.

 

Tuttavia ci sono anche i pastori, e se ben addestrati, nemmeno i cani temono l’orso: un buon branco da lavoro sa come contrastare il “Re delle Montagne”. Sa agire in modo compatto e in sincronia con gli altri. Quando i cani circondano l’animale che frastornato cerca di difendersi, i soggetti più esperti si staccano dal gruppo per portare a segno brevi morsi fulminei. Questa tecnica, che richiede esperienza, velocità e molto coraggio, sarebbe l’unica in grado d’infastidire il grosso predatore fino a scacciarlo.

Altrimenti è l’uomo che accorre armato di fucile.

I cani vengono addestrati dai pastori che quando hanno cuccioli giovani da “preparare” agli attacchi degli orsi imbracciano l’arma e sparano più volte, a vuoto, verso valle e per ottenere un forte boato: i piccoli apprendisti vengono così incitati dall’esplosione (che non temono affatto) tant’è che poi quando da grandi vedranno gli uomini caricare il fucile saranno già tutti infervorati e pronti all’attacco.

Quelli che hanno paura dello sparo o che non sanno collaborare coi loro simili saranno scartati o eliminati. Può succedere che alcuni di questi finiscano nelle città, per esser introdotti alla triste realtà dei tornei di lotta tra cani.

 

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Riproduzione  e accoppiamenti tra i cani nativi

D’inverno nei territori di pascolo tra le verdi colline dell’adir si è al sicuro.

Lo si vede anche da come sono tutti più pacati.

 

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Qui, le femmine quando hanno i piccoli sono delle guardiane eccezionali, nessuno si può avvicinare agli ovili o nei dintorni delle loro tane.

I cuccioli sono quasi sempre tutti nati “nel segno del Capricorno”. Hanno passato i mesi più freddi dell’anno con la mamma in una profonda buca scavata nella terra e ora che le giornate si allungano stanno esplorando il mondo che li circonda.

E’ in questo periodo dell’anno che si vedono tantissimi vivaci cagnolini, questi sono sempre molto rustici, già in giro insieme alle loro mamme ad imparare il mestiere di guardiani.

 

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Una ciambella fatta con un vecchio pneumatico è il posto dove ogni tanto viene dato loro da bere acqua misto farina, sale e grasso di pecora.

I pastori si aiutano sempre tra di loro, ciò significa anche scambiarsi i cani da un branco all’altro, da un gregge a quello del vicino.

Tutte le cucciolate sono selezionate dalle circostanze, dalle incessanti lotte tra i maschi per coprire le femmine in estro, dalla disponibilità all’accoppiamento di queste, dal caso e dagli eventi fortuiti; dalla Natura.

Quando chiedo se la consanguineità viene accettata o meno, mi viene risposto: “Non possiamo impedire che i cani del gregge vicino si accoppino con le nostre femmine e viceversa”. 

A sottintendere come allo stato semi brado anche la depressione da inbreeding si possa risolvere autonomamente, con delle semplici “scappatelle”.

Capita che le cucciolate abbiano padri diversi e questi non siano sempre certi, nemmeno per il pastore stesso.

Una volta nati i piccoli, saranno molti i fattori che influenzeranno il destino di ciascun nuovo individuo rispetto ai suoi fratelli.

 

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Non ci sono “pedigree” o Club di razza, qui non esiste nessuno standard, i cani talvolta si somigliano molto, altre meno. La variabilità genetica, anche se non ancora ben accetta dagli allevatori della razza ortodossi, è una risorsa. Questi cani appartengono ad una popolazione di individui che vive dove la pressione selettiva è altissima: qui l’esperto giudice è l’ambiente.

 

Origine indoiranica?

…sotto ad una tenda insieme a tanti amici i pastori mi chiedono un pensiero di buon auspicio prima del banchetto, ringrazio per questi bellissimi giorni.

Poi si inizia a mangiare: il lardo della coda di karakul mi viene offerto insieme al fegato, è il piatto per l’ospite e mi servono una porzione abbondante!

Molti vogliono raccontarmi la storia dei loro cani e del loro paese, un pastore mi spiega che il Tagikistan è la terra degli Armeni, dei Persiani e degli Iraniani arrivati migliaia di anni fa in Asia Centrale.

 

 

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I cani arrivarono con loro, quello che questa gente mi dice, con parole semplici, per certi versi riassume anni di ipotesi sulle origini di questi custodi: il Pastore dell’Asia Centrale discenderebbe altresì da cani armeni e persiani arrivati qui in Tagikistan insieme ai popoli indoiranici. Furono anche questi i cani che attraverso i secoli,  molto probabilmente, si mischiarono coi cani primitivi-asiatici della zona Nord Indiana e non solo. 

“L’Asia Centrale è un oceano di terra le cui onde, nei secoli, sono state i popoli”. Nessun’altra parte del mondo ha visto tanti rivolgimenti, tante trasmigrazioni. Quest’immagine non va intesa soltanto in senso geografico. Tutto nell’Oceano Asia Centrale fluisce, scorre, si trasforma.

 

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Il pranzetto si fa davvero interessante!

Alla tenda di Mansur ci son sempre visite di pastori amici, alcune volte bisogna macellare fino a tre pecore per organizzare un solo pasto!

All’orizzonte un via vai di grossi fuoristrada in gruppo porta in giro ricercatori di compagnie minerarie cinesi: “stanno cercando il gas anche in questi posti” mi dice Orifion… se dovessero trovare qualcosa, il destino di questo “mondo” sarebbe certamente segnato.

 

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Così passa una settimana, da una coshara all’altra, sui verdissimi pascoli, della zona di Karatau, dove sta arrivando la primavera, in giro con Mansur e Orifion in una Lada Niva assieme ai due cuccioli da me scelti sul campo.

 

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Sulla via del ritorno.

Abbiamo incontrato tante greggi, mangiato pane appena fatto, grasso di pecora e le tradizionali zuppe, con una miriade di pastori, sotto alle tende o nelle umili coshare. Sono stato accolto da anziani e bambini che “col cuore in mano” offrono tutto quello che hanno a ospiti e viaggiatori.

 

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Ho visto l’allungarsi delle giornate e sentito il calore del sole sui pascoli d’inverno di questa primavera tagika che sta arrivando. 

Ho avuto la possibilità di partecipare alla vita di tutti i giorni, in mezzo alla steppa, spesso insieme ad ospiti illustri,  come ricchi proprietari terrieri o un medico con mogli e figlie.

 

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Stanco e stravolto, sono contentissimo di aver trovato ancora una volta due bellissimi soggetti e di essermi potuto immergere totalmente nella suggestiva ma difficile vita dei pastori dell’Asia Centrale. 

Nel frattempo nella kishlak di Lolatzor, Hossiad la moglie di Mansur mi ha confezionato un bellissimo vestitino tradizionale, uzbeko, che porterò alla mia Vivina!

 

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Ringrazio E.Polshyna, che mi ha aiutato a rendere quest’avventura possibile, Mansur con tutti i pastori, per l’ospitalità, Orifion, che ha tradotto e spiegato davvero di tutto, Carmelo per la sua grande disponibilità; i miei cani e la mia famiglia che mi hanno aspettato pazientemente a casa.

 

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Ci sono nove ore di volo per ritornare in Italia, con Jeelan e Uqob, i miei due nuovi cani aborigeni tagiki: uno sarà con me in cabina.

 

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Nella notte, in aereo con un cucciolo accovacciato sulle mie gambe, ho pensato che tutti gli uomini sono in viaggio, sotto un mare di stelle, all’inseguimento dei loro sogni.

Un lungo viaggio senza fine.

 

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Testo e fotografie di

Francesco Spiaggia.